Edwin Abbott Abbott
Flatlandia

Questo libro scritto nel 1884 è un racconto originalissimo, a metà tra la fantascienza e il nonsense. Nella prima parte si descrive un mondo bidimensionale, un piano, abitato da esseri che sono linee, triangoli, quadrati, pentagoni e così via fino ai cerchi. La loro è una società distopica, in cui vige una rigida gerarchia basata sull’angolosità, al cui gradino più basso ci sono le donne, soggette a regole grottesche. Con il pretesto di assecondare presunte leggi naturali per cui quanto più angolosa è una figura, tanto più essa è intelligente, i cerchi praticano una vera e propria politica eugenetica nei confronti delle classi inferiori, e, tenendo il popolo nell’ignoranza e soffocando le eresie, reprimono ogni movimento egualitario. Nella seconda parte si narra il viaggio di un quadrato in altri mondi: quello tridimensionale, il nostro, ma anche quello unidimensionale, che è una linea, e quello adimensionale, che è un punto: il quadrato, fedele all’ideologia dei cerchi, alla fine apre la sua mente a una nuova visione delle cose. Fornendo elementari nozioni di geometria e introducendo il concetto della quarta dimensione e dell’iperspazio, da un lato Flatlandia è un libro divulgativo e didattico, tanto da essere spesso consigliato dagli insegnanti di matematica ai loro studenti; dall’altro qui Abbott, intellettuale inglese progressista e democratico, sacerdote che aveva sposato le idee liberali della Broad Church e insegnante in una scuola inclusiva come la City of London School, con una satira piena di humour alla maniera di Jonathan Swift e Lewis Carroll, opera una forte denuncia della società vittoriana e delle ideologie fondate su distinzioni pseudoscientifiche tra “superiori” e “inferiori”, ma soprattutto invita a mettere da parte i propri pregiudizi e a non dare per scontato che il proprio mondo sia l’unico possibile.

Traduzione e note di Alberto Ardito